lunedì 18 luglio 2016

Il Sindaco Gratis di Mauro Riccioni

E' il secondo libro, scritto da un amico, che mi trovo a recensire negli ultimi giorni. Che dire, Mauro è essenzialmente un sindaco ed è il sindaco gratis, è il sindaco che svolge questa missione per vocazione, che non vede nella politica un sistema di arricchimento, che ama i suoi concittadini e la sua terra. In questo libro, Mauro Riccioni spiega con parole semplici, i passi che lo hanno portato ad essere un primo cittadino icona, i passi che hanno reso Gagliole, in provincia di Macerata, uno dei comuni più virtuosi d'Italia. Ciò che mi ha colpito di questo libro è stato il suo incipit, un esordio ricco di amore, le parole di un padre, indirizzate ad una figlia, quegli stessi vocaboli che le insegneranno ad andare avanti, sempre e comunque, nonostante tutto e nonostante tutti. Penso siano questi i veri insegnamenti che tutti noi vorremmo e dovremmo avere. Mauro ha rinunciato alla sua indennità di sindaco, per il bene del suo paese, per far si che i bambini riescano a mangiare gratuitamente in mensa. Mauro devolverà parte del ricavato della vendita del libro ad Angelo Licheri, un eroe dei tempi moderni. In politica, come in qualsiasi altro ambito esistenziale, contano i fatti. Il percorso che ha portato Mauro Riccioni a diventare sindaco di Gaglione è un percorso ricco, intenso, permeato dalla sua passione politica, che coltiva dall'età di 14 anni e senza la quale, oggi, forse Mauro non sarebbe diventato il Sindaco Gratis. Mi sono riconosciuta in molte delle pagine di questo libro, mi sono riconosciuta nelle corse con la bici, nella passione politica adolescenziale, nella volontà di inseguire il proprio sogno. Io, però, per la strada ho perso quella passione politica che tanto mi aveva caratterizzata, Mauro, invece è riuscito a cambiare la politica, Mauro Riccioni è riuscito a far emergere quella politica, intesa come arte autentica per il bene comune. Il mio auspicio è quello di continuare a cambiare il mondo, quello di continuare a cambiare la politica, quello di continuare a fare del bene, quello di continuare a credere che un'esistenza migliore ci sia sempre.

venerdì 15 luglio 2016

Nizza 14 luglio 2016

Non ci sono parole a sufficienza per esprimere quanto è accaduto a Nizza il 14 luglio 2016, non ci sono parole per esprimere il cordoglio, non ci sono parole per descrivere ciò che definirei una strage degli innocenti. Come è possibile che un bambino muoia per un attacco kamikaze? Com'è possibile pensare che per quei bambini non ci sia più un futuro? Com'è possibile continuare a vivere con una costante paura addosso? Dov'è la libertà, tanto citata dai libri di storia francese? La Francia non è più una nazione libera, la Francia è diventata una nazione in ginocchio. Leggevo poco fa un post di un mio amico su Facebook, che parlava di multiculturalismo, della politica effettuata da questa nazione durante gli anni '70, ma oggi, cosa rimane di questo multiculturalismo? Se lo chiedeva questo mio amico e sicuramente se lo chiederanno tanti di voi. Cosa rimane oggi di quella Francia che dal 14 luglio 1789 festeggia la "Prise de la Bastille"? Che valore assume da oggi la Festa Nazionale Francese? Cosa è rimasto di quegli ideali? A sentire le testimonianze di chi ieri sera era lì a godersi uno spettacolo, è rimasto ben poco. A sentire le testimonianze di chi si è visto piombare un camion addosso, il futuro fa paura. Il pericolo è dietro l'angolo, un pericolo che va abbattuto, una paura con la quale non si può convivere, una paura da vincere, una paura da sconfiggere. Un abbraccio virtuale che si può dare ad una nazione piombata nel buio più assoluto, un abbraccio virtuale alle vittime, un abbraccio virtuale per dire basta. Può esistere un Dio che vuole la morte di una bambina, mentre rimane distesa accanto alla sua bambola?

giovedì 14 luglio 2016

Il Mare

"Sulla riva del mare é scritta la storia della vita che si rinnova di continuo, come le onde che cancellano le impronte sulla sabbia oppure vi lasciano nuovi oggetti venuti da chissà dove" questa frase di Romano Battaglia l'ho letta un paio di giorni fa e a questa frase pensavo stamattina nuotando.  Quando sei in acqua, quando senti la salsedine sulla tua pelle, quando assapori il profumo del mare,in quel preciso istante, é facile pensare,  é facile abbandonarsi al flusso di pensieri che assalgono la tua mente,  come le onde che si infrangono a riva. Io e il mare abbiamo avuto sempre un rapporto privilegiato,  se c'é un posto nel quale mi sono sempre sentita sicura, quel posto è il mio mare. Non so perché l'ambiente marino ha da sempre il suo fascino, forse perché noi tutti speriamo di trovare qualcosa al di la del mare, forse perché tutti noi siamo dei naviganti che cercano di mettersi in salvo o che vogliono salpare per nuove avventure, per ricominciare, per vivere una nuova esistenza. Non so cosa mi spinga ad amare il mare, forse il suo odore, forse i suoi rumori, mi piace ascoltarlo il mare, mi piace sedermi sulla riva e farmi accarezzare dalle onde,mi piace ascoltarne il suono più intenso immergendomi e restando in silenzio, mi piace scorgerne le sue sfumature, mi piace cogliere le sue sorprese, come un gabbiano che vola, mentre io nuoto. Il mare , la sua immensità,  la sua maestosità,  non sono altro che sfumature dell'esistenza umana. Come una conchiglia che ritrovi in fondo al mare, che prendi tra le mani e che rigetti in acqua, quella stessa conchiglia che trovi dopo un po' e che provi a riprendere,  questa volta senza riuscirci, forse perché quello è l'unico posto dove può stare, forse perché nell'acqua,come nella vita,ci sono cose destinate a rimanere in fondo al mare

sabato 9 luglio 2016

Pino e Santiago

Ho scritto numerose recensioni di libri, tutti i volumi che ho letto mi sono piaciuti, alcuni mi hanno appassionata di più, altri di meno, in ogni caso un libro è qualcosa che ti rimane dentro, o meglio, che ti scava dentro. Scrivere una recensione per un libro del quale non si conosce l'autore è qualcosa di appassionante, ma scrivere la recensione di un libro scritto da una persona cara è tutt'altra cosa. "Io pellegrino sul cammino di Santiago de Compostela"è il libro scritto da Giuseppe Basta, un libro che racconta questa straordinaria esperienza vissuta da lui stesso a settembre del 2015. Giuseppe, o Pino come tutti lo conosciamo ha voluto raccontarci questo suo viaggio, ci ha resi partecipi di questa sua esperienza di vita. "Io pellegrino sul cammino di Santiago de Compostela" è uno dei classici libri da leggere tutti d'un fiato, è stato scritto con uno stile scorrevole, con un linguaggio semplice, che riflette le qualità dell'autore. Non è stato facile affrontare questo viaggio e non sarà stato facile tradurre in parole ciò che è stato vissuto. Un viaggio introspettivo, un viaggio di cambiamento, un viaggio di rinnovamento, un modo per vedere la vita con nuovi occhi. In questo suo percorso Pino affronta diversi temi, come i legami familiari, i legami con gli amici che in paesi come Carfizzi o San Nicola dell'Alto diventano sempre più intensi, al punto da scandire la vita quotidiana e gli affetti. Affronta il tema della religiosità, questo tema così complesso, così importante, la fede qualcosa a cui ci si aggrappa quando si ha bisogno e che si lascia cadere in secondo piano durante la quotidianità? Esiste davvero qualcosa al di la di questo mondo? Non si può avere una riposta assoluta a questa domanda, però leggendo il libro di Pino la si può interpretare in mille modi, in diverse sfaccettature e forse si puòl cercare di darle la nostra risposta personale. Il cammino verso la cattedrale di San Giacomo riflette il cammino dell'esistenza umana, che non si può fermare per una distorsione alla caviglia, ma che deve continuare nonostante il dolore, che prima o poi passerà. Complimenti Pino e buona lettura a tutti!

venerdì 8 luglio 2016

La Storia di Santa Veneranda

Santa Veneranda detta anche Santa Venera o Santa Parasceve, è una martire cristiana nata ad Acireale intorno all’anno  100 e morta all’età di 43 anni. Il nome Veneranda deriva dal latino “venero” e significa “degna di venerazione”.
La memoria liturgica di Santa Veneranda ricorre il 26 luglio, ma a Carfizzi si festeggia, generalmente, la prima domenica del mese di agosto.
La tradizione vuole che questa Santa fosse la figlia di Agatone ed Ippolita, due nobili devoti, che la dettero alla luce dopo anni ed anni di intensa preghiera. La madre la volle chiamare Venera, ma il padre, per paura che si potesse confondere con il nome della dea pagana Venere, decise di darle il nome di Veneranda. Da molti conosciuta anche come Santa Parasceve perché nacque il giorno prima del sabato di Pasqua. I genitori morirono quando la fanciulla aveva poco più che 20 e lei, educata dalla madre, fin da piccola, verso un amore profondo nei confronti del Vangelo, decise di dedicare la sua vita alla predicazione e alla conversione dei pagani, prima in Sicilia, poi in Calabria e in Campania, vendendo tutti i suoi beni e consacrandosi solo a Dio.
La sua predicazione conobbe molti nemici, a Locri venne arrestata dal prefetto Antonino Pio, che voleva convertirla alla religione pagana, sottoponendola ad innumerevoli torture. Le venne posto sul capo un elmo di metallo, precedentemente riscaldato, ma miracolosamente, quando l’elmo fu tolto la sua testa non ebbe il minimo graffio o la minima ferita, non ebbe alcun segno, per tale ragione, quando i pagani videro tutto ciò, decisero di convertirsi alla religione cristiana e molti di essi vennero arrestati. Santa Veneranda venne nuovamente condotta in prigione, dove fu consolata da un angelo. Il giorno seguente venne appesa per i capelli e sul suo corpo vennero poste fiaccole ardenti, ma nessun segno apparve su di esso. Venne poi posta in una caldaia immersa di olio bollente e pece, ma ne uscì del tutto indenne. Vedendo tutte queste cose, fu lo stesso Antonino che si converti al cristianesimo.
Santa Veneranda continuò la sua opera predicatrice recandosi in un paese governato da un certo Asclepio che la condusse in una grotta abitata da un drago. La Santa si limitò ad imporre il segno della Croce sulla testa del drago e la bestia si squarciò in due. Vedendo ciò anche Asclepio si convertì.
Santa Veneranda arrivò poi in un paese governato da Taresio, anche qui venne immersa in una caldaia con piombo, pece e olio bollente, senza danno alcuno per il suo corpo. Venne poi inchiodata a terra e flagellata, poi venne condotta in prigione dove le apparvero Cristo e alcuni angeli e Santi.
La sua morte è avvolta nel mistero, si narra, infatti, che sarebbe morta in Gallia decapitata e il suo corpo traslato prima ad Ascoli Piceno e poi a Roma durante il IV secolo, un 14 novembre.
Un’altra versione, invece, racconta che Santa Veneranda morì il 26 luglio 143 d.C.  decapitata, nel luogo stesso nel quale era nata. Prima di morire la Santa chiese ed ottenne da Dio la promessa che chiunque si fosse rivolto a lei, in preghiera, sarebbe stato liberato dalle angosce che lo affliggevano.
Viene raffigurata con in mano la palma tricoronata, il libro del Vangelo e il Crocifisso. La statua presente a Carfizzi è antichissima ed interamente realizzata in legno. La tradizione narra che la statua non fosse diretta a Carfizzi, ma durante il passaggio in questo paese il carro con i buoi, che la trainava si fermò e i buoi non ne vollero più sapere di ripartire, segno divino che il posto dedicato a lei era proprio qui. Nel luogo dove i buoi si fermarono oggi sorge un’icona dedicata alla Santa, divenuta Patrona di Carfizzi.

Umberto e Pallagorio

Le parole sono così,vengono quando meno te le aspetti,mentre stai ballando una bella tarantella in una piazza gremita di gente,mentre vedo intorno a te tante persone ridere,mentre cerchi la felicità negli occhi di chi ti è accanto… Ho rincorso queste parole per giorni,durante la campagna elettorale e dopo,ma non sono riuscita mai ad afferrarle,forse perché si dovevano concretizzare proprio ora,proprio dopo una festa che ha “incoronato” Umberto Lorecchio non solo a sindaco di Pallagorio,ma sindaco della gente… Ho conosciuto e conosco tanti primi cittadini,ma concorderete  con me che sono rari quei sindaci che non solo sanno ascoltare le persone,bensì che sanno stare tra la gente,in mezzo alla gente,che sanno combattere per i propri concittadini… Vi ricordate i libri di scuola,da bambini? Spesso veniva raffigurato un uomo con la fascia tricolore,davanti ad un municipio,io oggi posso dire,che a Pallagorio quell’uomo con la fascia tricolore ha cambiato quel municipio. Per essere sindaco non basta saper amministrare,per essere sindaco bisogna amare il proprio paese e i suoi abitanti. Oggi posso dire che Umberto ama Pallagorio ed i Pallagoresi. Umberto è quella persona che durante la processione della Madonna del Carmine entra a casa di una sua fan novantenne per salutarla,è quella persona che va in campagna a lavorare con gli operai,è quella persona che ti saluta sempre e comunque con animo sincero… Umberto e Pallagorio sono un binomio perfetto,un incastro che riuscirà a cambiare questo paese e a farlo divenire una pietra preziosa incastonata tra le sue bellezze naturali,un vanto per chi ci abita,per chi lo visita,per chi lo vive. La piazza sabato sera ha voluto abbracciare il sindaco e la sua squadra,con un grido che io ed Angela abbiamo fatto,ovvero “Ce l’abbiamo fatta”perché è vero,siamo riusciti a far vincere il bene per Pallagorio… Ed ora non resta che augurare Buon Lavoro a tutti,con una frase di una celebre canzone dei nomadi “e le paure scorrono giù,mente i sogni salgono su”

La Chiesa di Santa Veneranda

Il suono delle campane ieri pomeriggio ha risvegliato in molti abitanti di Carfizzi tanti ricordi, erano anni che quelle campane non suonavano, erano anni che la nostra chiesa era chiusa. Già, eravamo diventatati il “paese senza chiesa” costretti a celebrare le ricorrenze più importanti delle nostre vite, in piccole stanze della casa canonica o della casa comune. il 5 marzo del 2016 il lungo calvario è finito e la Chiesa di Santa Veneranda è stata riaperta al culto, per la gioia di chi ci abita e di chi sta fuori. Non è stato facile affrontare una situazione del genere, né da parte dei fedeli, né da parte del parroco. La cosa più importante, ora, è che la nostra chiesa sia stata ricostruita e la cosa fondamentale è che abbiamo nuovamente una chiesa, un punto di riferimento, un luogo nel quale accostarci nei momenti più difficili e in quelli più belli della nostra vita. Oggi pomeriggio ho visto un film: “Il Caso Spotlight” di questo film mi ha colpito, in particolare una frase : “la conoscenza è una cosa, ma la fede, la fede è un’altra”. Già, forse noi siamo stati nel corso degli anni, l’esempio vivente che questa fede può essere vissuta anche al di fuori delle mura di una chiesa, ma siamo nello stesso tempo, l’esempio vivente che senza una fede forte non si costruisce niente. Santa Veneranda, ora è tornata al suo posto, di fronte a tutti i fedeli, come se da lì ci volesse proteggere tutti, come se da lì ascoltasse le parole della commovente canzone a lei dedicata oggi, alla fine della messa, come se da lì volesse dirci io ci sono sempre stata.

Il mio 2015

E’ il 31 dicembre 2015, l’ultimo giorno dell’anno e come consuetudine è il giorno dei bilanci. Cosa mi rimarrà di questo 2015? Cosa ha significato quest’anno per me? Le domande che tutti noi ci poniamo sono simili a queste, ma per Maria Cianciaruso, cosa ha rappresentato questo 2015. In primis è stato l’anno della sfida, di una lunga sfida, di una sfida con me stessa, ad aprile di quest’anno è uscito il mio primo romanzo “Lo Stesso Orizzonte” un romanzo che mi ha reso “scrittrice” o pseudo-tale, un romanzo che mi ha regalato emozioni e attraverso il quale io ho fatto vibrare le corde di qualche anima. Un romanzo che celebra la mia terra, che celebra il mio Sud e la mia famiglia, quei legami autentici che ti accompagneranno per tutta la vita. E’ stato l’anno durante il quale ho scoperto quanto sia importante avere una famiglia, che ti accompagni ad ogni passo della vita, che sia con te e ti sostenga sempre, nonostante tutte le intemperie. E’ stato, però, nello stesso tempo, l’anno delle decisioni, perchè arriva un momento nella vita, in cui scopri che puoi contare solo sulle tue capacità, che scopri che quella chiave, per mettere in moto la tua macchina, la puoi girare solo tu. In questo anno ho scoperto che è possibile scoprire l’affetto che un cane riesce ad offrirti,in punta di piedi,senza paura! Un cane è capace di cambiarti la vita! E’ stato un anno ricco di sorprese, come l’annuncio di dover fare da testimone di nozze ad una delle tue migliori amiche. Sapere di dover accompagnare all’altare una persona con la quale hai condiviso praticamente tutto, dalla nascita, all’adolescenza, dalla giovinezza alla pseudo-maturità, sono queste le cose che contano nella vita. Laura, lo sai che Sofficino ti vorrà sempre bene. E’ stato un anno ricco di bei momenti, da immortalare e condividere con bellissimi selfie, scattati con le persone più care, con un’amica che mi ha fatto riscoprire la dolcezza, con la sua innata bontà e con la nostra immancabile complicità, abbiamo scoperto di essere in grado di affrontare qualsiasi cosa, vero Emilia? E’ stato un anno di cambiamenti, tutto posso dire tranne che sono la stessa che ero il 1 gennaio di quest’anno, perché le emozioni ti rendono sempre migliore. E’ stato l’anno della ri-scoperta, perché ci sono sentimenti che pensi di aver soffocato per sempre, in una stanza remota del tuo cuore, ma che all’improvviso riaffiorano, così, dal niente, da un semplice sguardo, da un sorriso. Ci sono persone alle quali rimarremo legate per sempre, qualunque sia la nostra età, qualunque sia la distanza che ci separa, nonostante tutti gli anni in cui ci siamo persi. Ci sono persone che sono destinate a far parte della nostra vita, che riempiono la nostra vita, che la colorano, che ti sanno insegnare cose che non avresti mai pensato di fare, che ti fanno vivere momenti indimenticabili, perchè basta poco nella vita, per essere felici, forse basta solo ritrovare qualcuno, forse basta solo ritrovare l’amore. Buon 2016 a tutti voi, ad maiora semper. 

Missione Popolare a Pallagorio

La settimana scorsa ho partecipato ad una Missione Popolare a Pallagorio e come sempre, alla fine di un’esperienza,  mi sono fatta la solita domanda : “Cosa mi é rimasto dentro di tutto ciò?” Visivamente,  la prima immagine che mi viene in mente é quella di una bambina felice, che in chiesa,cantando il “Cantico di San Francesco” salutava suo nonno, seduto in fondo alla chiesa,  gremita di gente, e lui visibilmente commosso ed emozionato, ricambiava quei saluti, con uno sguardo oltremodo amorevole. Cosa mi ricorderó di questa esperienza? Sicuramente gli occhi felici e commossi delle mie compagne di avventura, certamente le parole dei frati, quei vocaboli semplici che sono riusciti a spiegare concetti così complicati e controversi. Dopo questa esperienza tutte le negatività se ne sono andate, son volate via, come i palloncini colorati dei bambini. Penso che questa missione sia servita,  ad ognuno di noi, a rivedere il proprio rapporto con Dio e con il Vangelo, il proprio rapporto con gli altri e con il mondo, penso che ne siamo usciti tutti rigenerati.  Penso che i tre frati siano pienamente riusciti nella loro missione di portare amore. Credo che un’esperienza del genere, in un piccolo paese come Pallagorio,  significhi molto, penso che questa missione abbia rafforzato l’appartenenza religiosa di una comunità,  unita in una grande e preziosa chiesa.

LO STESSO ORIZZONTE

Sono sempre stata brava a leggere e a recensire i libri di altri autori, ma oggi mi trovo a dover recensire il mio primo libro, il romanzo “Lo stesso orizzonte”. “Oramai hai scritto un libro, e sei diventata una scrittrice” la battuta di un mio amico, stamattina, mi ha fatto molto riflettere. Lungi da considerarmi una scrittrice, ancora per quello dovrò indossare un bel paio di scarpe e fare molto trekking, la cosa sulla quale ho riflettuto è che quel libro è diventato una parte di me. “Lo stesso orizzonte” è nato per mio volere, è stato costituito da me, passo dopo passo, parola dopo parola, fino a diventare parte integrante della mia esistenza. La vera soddisfazione non è aver pubblicato un libro, ma aver creato qualcosa di mio, qualcosa di unico, qualcosa di vero, qualcosa di autentico. “Lo stesso orizzonte” racconta una storia fantasiosa, ambientata in luoghi vissuti, ambientata nei paesaggi della mia infanzia. Il romanzo narra di sentimenti veri, narra di rapporti autentici, narra una storia di vita. Il mio intento era quello di scrivere un libro che avesse il gran dono di tenere le persone con il fiato sospeso, che potesse essere letto tutto d’un fiato. Spero di esserci riuscita. A voi l’ardua sentenza.

Morci

“Marí çë kit bomi sot?” La voce di mia nonna “Maria cosa dobbiamo fare oggi?”, é il Primo Marzo, e come consuetudine,  il pensiero fisso di mia nonna é quel bracciale colorato che si indossa per tutto il mese di marzo.  Questo bracciale, dai colori molto sgargianti,  ha il compito di tenere lontano le vipere e le insidie del bosco, ma soprattutto ha il grande potere di essere di buon auspicio! Da sempre, ogni mese di marzo, indosso questo bracciale che con i suoi fili colorati intreccia storia e tradizione,  cultura popolare e superstizione, protezione e amore incondizionato. Mentre le mani di mia nonna intrecciavano quei colori, inevitabilmente,  ho pensato a quanti lavori fossero stati realizzati da quelle mani, oggi un po’ rugose, ma sempre delicate, sempre in grado di realizzare capolavori di colori. Morci rappresenta una delle poche tradizioni del popolo arbereshë,  non andata perduta, un’identità in grado di riconoscersi in fantastici fili colorati,  che continuano a portar fieri l’identità di un popolo variegato. Un simbolo che riesce ad unire ed intrecciare i destini e le vite di due persone, separate dal tempo, ma indissolubilmente unite da un amore sincero, come il nodo, posto alla fine del bracciale, stretto forte, perché non si possa mai slegare.

Cade la neve e tutto cambia

Basta qualche fiocco di neve ed improvvisamente tutto cambia; i luoghi ed i panorami, che conosciamo dettagliatamente a memoria, sembrano scomparire, cedendo il posto ad uno spettacolo insolito, nuovo, candido, uno spettacolo che fa venir voglia di tornar bambini.
La neve ha sempre avuto qualcosa di magico, dato forse dal suo candore, dal bianco, con il quale ricopre ogni cosa, da quell’intervallo di forme, che contribuisce a mutare le strade ed, inevitabilmente mutare i cuori.
Guardare la neve cadere, dal vetro di una finestra è una sensazione di pace, i tetti ed il bosco diventano bianchi, offrendo a tutti uno spettacolo, che ci da il senso della caducità, della brevità, dell’intensità delle emozioni più vere.

Un diploma d’onore, per una fiaba scritta con il cuore

Accedendo al mio profilo Facebook,  stamattina ho trovato una bella sorpresa,  un diploma d’onore per un racconto,  pubblicato in un’antologia della società editrice Montecovello.
Ciò che mi ha maggiormente stupito é stato il riconoscimento di questo titolo,  per una favola che ho scritto per caso,della quale ero insicura, che non volevo mandare in pubblicazione.
Non avevo preso la cosa sottogamba,  perché ogni volta che scrivo lo faccio con il cuore, mossa da quel desiderio irrefrenabile di mettermi in gioco, di mettere in gioco me stessa, quelle parole che mi frullano per la mente, quelle idee astratte, che aspettano di essere tradotte in realtà, ma questa volta era diverso.
La tematica trattata é particolare,  é qualcosa a cui tengo,  sentimenti che voglio proteggere e difendere.
Questo riconoscimento mi ha motivata, perché trovare oggi un editore che crede nelle potenzialità dei giovani é qualcosa di raro, qualcosa che va evidenziato e potenziato.
Grazie a tutti voi che credete in me!!!

Arcimirë

Mirë, una semplice parola, che racchiude tanti significati positivi: “ja shkoj mirë” ” sto bene” – ” kjo osht e mirë” ” questa é buona”, buono e bello, come il sole che ha baciato domenica 14 dicembre una piazzetta di Carfizzi,  gremita di gente, per la manifestazione superlativa,  Arcimirë, organizzata dal locale circolo Arci.
Una manifestazione che aveva come scopo la valorizzazione dei prodotti del luogo, ma soprattutto la valorizzazione del luogo, con le sue peculiarità,  la sua unicità,  la sua combinazione di elementi tradizionali e moderni, la sua specificità, che lo porta, ancora oggi, ad essere un paese da raccontare e nello stesso tempo un paese che racconta, che parla attraverso i suoi vicoli, le sue case, i suoi profumi, il verde che lo circonda.
Quello stesso verde, che dona colore all’olio extravergine, assaporato in deliziose bruschette o utilizzato per condire un’antica minestra, quell’olio che é il simbolo stesso di un territorio,  che può e continua ad offrire prodotti genuini, come l’anima delle persone che si sono riunite, per far si che questa manifestazione fosse un successo.
In questo incontro non c’é stata solo la valorizzazione dei prodotti del luogo, ma c’é stata, in particolare,  la valorizzazione delle persone, delle loro anime e delle loro passioni, che li hanno portati a credere nei propri progetti, a dare un futuro, a dare una speranza ad una terra troppo spesso sfruttata e sottovalutata.
Questa manifestazione é stata frutto dell’impegno di chi da geologo si é improvvisato cuoco, di chi ha continuato a mescolare la furisishka, affinché il suo sapore semplice divenisse eccelso, di chi ha allietato l’intera giornata con la propria musica, di chi, munito di microfono, é andata in giro a scoprire e riscoprire tradizioni perse nel tempo, di chi ha cercato di immortalare ogni singolo istante, attraverso l’obiettivo di una macchina fotografica, di chi non ha smesso mai di sorridere.
Questa manifestazione ha dimostrato a tutti l’essenza stessa di un paese,  che si nasconde tra le gonne delle “cohe” che le bambine della scuola indossavano e che ballando formavano meravigliosi cerchi, tra le note degli stessi bambini, che cantano, ancora oggi nella loro lingua, nella lingua che hanno imparato per prima, nella lingua arbereshë, in una lingua antica, che, grazie a quelle note, si proietta verso il futuro.
L’anima di Carfizzi é quella che é emersa intorno ad un fuoco, osservando le fiamme, mentre si sorgeggiava un altro dei prodotti da valorizzare, il premiato vino, prodotto da vigneti autoctoni e sani.
Questa é la parte piú bella di un paese, del nostro paese, di un paese i mirë, anzi, Arcimirë.

Il Presepe come segno di continuità

In molte delle nostre case, nelle settimane d’Avvento, é allestito il presepe, che simboleggia la scena della Natività! Il presepe é il simbolo stesso del Natale, anche io quest’anno l’ho fatto a casa mia, per la prima volta! Tra i personaggi utilizzati, vi sono i Re Magi e una contadina, che mio nonno aveva regalato a mia mamma, quando era bambina.
Tra tutti i pezzi del mio presepe, di sicuro, questi quattro sono i più preziosi, perché spesso gli oggetti, raccontano storie, storie formate di ricordi e di emozioni, vissute tanti anni fa.
Dietro a quei Re Magi, ci sono le immagini di mia mamma che allestisce il suo presepe, insieme ai suoi fratelli, un’immagine che io non ho mai visto, ma che grazie a quelle figure posso immaginare.
Le immagini, le sensazioni, i ricordi e le emozioni si possono fondere, creando un sentimento che va al di la dello spazio e del tempo, che sfida la corporalitá, che ci porta in luoghi dove non siamo mai stati.
Parole e racconti che evocano, in chi ha vissuto quei momenti una gioia lontana, che non si é mai spenta, che non é mai svanita, che riesce a vivere, grazie al ritrovamento,  in fondo ad un cassetto, dei protagonisti di un Presepe, dei giochi gioiosi di una bambina. 
Il mio presepe é un segno di continuità,  tra ieri ed oggi, tra me e mia madre bambina, perché quei personaggi,  posti li, davanti a quella grotta, aspettano ieri come oggi, l’arrivo di Gesù Bambino, con una ricchezza data dalla loro presenza, resa ancora più preziosa dal fatto che essi siano riusciti a sopravvivere al tempo, che siano li, a testimonianza che il Natale contiene la stessa magia, vissuta dai bambini di quarant’anni fa e da quelli un po’ cresciuti di oggi.

Fukarinat

Alla vigilia delle celebrazioni che precedono il Natale, nel mio paese é tradizione accendere un piccolo fuoco, in onore del Santo, si inizia il 24 novembre con il piccolo falò per Santa Caterina,  continuando con San Nicola, l’Immacolata e Santa Lucia, in arbereshe chiamiamo questi falò “Fukarinat”.
Ogni anno, allo scoppiettio dei primi rami o “frashkat” l’emozione é tanta; incredibile come il fuoco, da sempre simbolo di unione e solidarietà,  possa dare l’immagine e l’idea del Natale.
Da quando si accendono i primi fuochi e da quando si sente, dalle finestre l’odore di miele, proveniente dalla preparazioni dei dolci, chiamati “crustoli” si comprende che si sta avvicinando il Santo Natale.
Gli odori, i profumi e i sapori fanno pregustare l’atmosfera di una festività amata da grandi e bambini, perché sono soprattutto i bambini l’anima delle fukarine. I bambini si divertono a gettare i rami nel fuoco, a rincorrersi, a giocare intorno ad esso, con i loro volti sorridenti, illuminati e riscaldati dalle fiamme.
Ogni anno, allo scoppiettio delle fukarine,  i ricordi di me bambina,  intenta ad animare il fuoco, riaffiorano nella mia mente, cosi come nella mente di giovani e meno giovani, che vedono in questi piccoli falò un pezzo delle proprie tradizioni, che non dovrá mai affievolirsi, ma soprattutto un pezzo delle loro vite.
É facile sorridere guardando il fuoco, é facile aprire il proprio cuore allo spirito del Natale ammirando le fiamme, che si innalzano verso il cielo, é facile tornare bambini intorno alla fukarina!

Essere arbereshe ai tempi dei social

Questo mio articolo nasce come conseguenza spontanea del precedente “essere arbereshe oggi”, perché ció che mi ha colpito é stato il successo di questo pezzo! Voi non potete immaginare la gioia che ho provato, scoprendo che quasi 2000 arbereshe, sparsi per il mondo, abbiano letto le mie parole! Grazie a quel pezzo ho conosciuto nuove persone e stretto nuovi legami di amicizia, grazie ad un filo comune tra me e queste persone, quel filo che per troppo tempo ho sentito nominare come “gjaku jone i shprishur”!
Ho sentito pronunciare questa frase decine di volte, non soffermandomi quasi mai sul suo reale significato, oggi, però, mi accorgo che quel sangue, il nostro sangue, quello che scorre nelle nostre vene
, é davvero sparso per il mondo, ma ha il grande potere di sapersi riunire, ogni volta che qualcuno di noi, parla delle sue tradizioni, della sua lingua, della sua essenza!
Ho ricevuto un messaggio, nel quale venivo appellata “Motra jime” “sorella mia”, chi, oggi, chiama un’altra persona sorella? Solo chi sa, che quel legame, quell’essere arbereshe, riesce ad accomunare persone separate da migliaia di chilometri!
Grazie ai social network ho scoperto un mondo nuovo, fatto da noi, arbereshe, un mondo che non vuole scomparire, anzi, vuole continuare ad affermarsi più forte di prima, mantenendo il passo coi tempi, creando una forma di associazionismo virtuale, che riesce a unite terre lontane, che riesce a superare lo spazio ed il tempo, per trasfigurarci in un presente, nel quale dobbiamo essere protagonisti!
É vero, il nostro sangue é sparso per il mondo, ma quel sangue, questi legami, non si perderanno mai!
Grazie a tutti voi! Rrini gjithe mire!

Pane, olio e zucchero

Oggi pomeriggio ho fatto merenda “me buk, vahj e cukar” una fetta di pane, con dell’olio extravergine e dello zucchero, cosparso sopra!
Questa merenda racconta molto, perché racconta una storia fatta di ingredienti semplici e genuini, come il pane e l’olio delle mie olive!
Questa merenda, come la maggior parte del cibo, racconta una storia antica, una storia di ricordi, di quando mia nonna era bambina, di quando la Nutella non si conosceva, di quando questa poteva essere l’unica merenda per i bambini, da gustare con appetito, da gustare con la consapevolezza che avete una fetta di pane, equivaleva ad essere ricchi!
Apprezzare il cibo e le antiche ricette, forse dovremmo educarci a compiere tutto ciò, per gioire di tutto ciò che abbiamo, per riscoprire sapori antichi, che si credevano persi per sempre!
Ogni morso, oggi, mi ha riportato indietro nel tempo, in un passato che non ho vissuto, ma del quale ho sentito parlare, di un passato in cui quella fetta di pane veniva assaporata da una bambina, di un passato, che continua a rivivere nei suoi sapori, identici a distanza di ottant’anni!

Quando si regala cultura si regala il futuro

Un paio di giorni fa ho partecipato ad un’estrazione a premi della società editrice Montecovello, nel quale bastava rispondere ad un quesito, per vincere cinque libri!
La mia risposta è stata esatta ed ho ricevuto a casa il mio premio!
Ciò che, maggiormente, mi ha colpito, é stato lo spirito di questa iniziativa, perché non trovo che ci sia regalo più bello di un libro!
I libri sono la rappresentazione della cultura, i libri sono il bagaglio culturale, ma soprattutto personale, che ognuno di noi ha in sé e grazie al quale affronta la vita, con i suoi problemi e le sue situazioni, i libri rappresentano il futuro, quello stesso futuro che é permeato di umanità e di ricchezza!
Una società editrice che regala i suoi scritti, lo fa per rendere migliore l’ambiente in cui vive, per offrire un tassello aggiuntivo ai lettori ed alle lettrici, che grazie a quei racconti non saranno più gli stessi, ma saranno persone migliori, persone che conoscono e che continuano a conoscere ed ampliare i propri orizzonti!

Un paese in cui si conoscono tutti

Qual é il senso profondo delle relazioni umane?
Me lo sono chiesta stasera, mentre uscivo di casa, per la sfilata dei cacciatori,  tra i quali c’era mio fratello, che portavano in trofeo i loro cinghiali.
Ho aspettato che passassero in un crocevia, vicino alla mia abitazione, eravamo io e mamma, ma nell’arco di cinque minuti sono passate da lì cinque persone, che hanno parlato, gioito ed aspettato con noi il passaggio dei cacciatori.
Da due persone, ad aspettarli eravamo in sette, una sorta di mini festa paesana. Mentre parlavo con loro, mentre aspettavamo insieme, ho notato quanto belli e spontanei fossero i rapporti interpersonali,  che si possono creare in una comunità come la mia.
Conoscersi tutti e gioire anche delle piccole cose, anche questa é una delle magie di Carfizzi, anche questo é uno di quei valori, che dobbiamo imparare a salvare.
L’anonimato nel quale si vive in una città é qualcosa che non ci appartiene e del quale dobbiamo imparare a difenderci.
Riusciremo a salvaguardare questi rapporti interpersonali, senza che l’odio e l’indifferenza prevalgano? Questa sarà una grande battaglia che Carfizzi e i Carfizzoti dovranno combattere,  per non perdere la propria cultura e la propria identità!

Essere arbereshe oggi

Spesso mi sono sentita chiedere quale fosse la lingua, che stessi parlando, come mai la parlassi o se la sapessi scrivere.
La mia lingua si chiama arbereshe, così come l’arbereshe è la mia cultura, la mia identità, ciò che sono io e le persone che abitano a Carfizzi, il mio paese, adagiato su una collina del crotonese.
Ma cosa significa, oggi, essere arbereshe?
Significa portare con sé un patrimonio culturale diverso, rispetto a quello degli altri, più ricco, più profondo. I miei antenati sono giunti, qui, sulle coste calabre, dall’Albania, o dall’arberia, come si chiamava allora. Quegli antenati hanno fondato tre villaggi e sono riusciti a tramandare gli usi, i costumi ed una lingua, che riescono a far rivivere l’eco di sapori lontani.
Una lingua antica, che, ancora oggi, viene parlata da bocche giovani, una lingua che ha attraversato il tempo, che riesce a sopravvivere, nonostante tutto e nonostante tutti. Io so parlare l’arbereshe e sono fiera di saperlo fare, perché l’idioma è cultura, ma soprattutto è identificazione ed appartenenza.
Io appartengo a questo mondo, io appartengo ai colori vivaci delle coperte di mia nonna, io appartengo ai sapori antichi dei dolci della mia tradizione, io appartengo ai valori di cordialità ed ospitalità, che la mia cultura mi ha trasmesso e continua a trasmettermi, ma che, soprattutto, io dovrò continuare, fieramente a portare avanti, per non disperderli, per non farli scomparire, per portarli sempre con me.

I politici riescono a capire le nostre esigenze?

Siamo immersi in una crisi senza precedenti. Giovani senza lavoro, padri di famiglia che perdono il lavoro, interi nuclei familiari che vivono sulla soglia della povertà,  é questo il quadro attuale di una nazione, che ancora non riesce a risollevarsi.
La domanda che viene spontanea farsi é :” cosa fare per contrastare tutto ció?”
Ma forse, la vera domanda da porsi é :” può una persona che guadagna migliaia di euro al mese, riuscire a comprendere me, che non ho neppure i soldi per mangiare?”
La risposta é ovvia per tutti, dalle mie parti si dice che colui che é sazio, non potrà mai credere a chi é digiuno, e la politica é esattamente così.
A livello locale, cosi come a livello nazionale, siamo governati da persone troppo lontane dai bisogni reali della gente; chi non ha mai avuto problemi economici, non potrà mai comprendere il padre di famiglia disperato, che non ha i soldi per comprare il latte ai propri figli.
Una società che dovrebbe essere fondata sul lavoro, si é tramutata in una società in cui il lavoro va elemosinato, va chiesto con le lacrime agli occhi, in cui la dignità di ogni essere umano viene calpestata quotidianamente da persone che non riusciranno mai a comprendere quanto puó essere esasperante ed umiliante ritrovarsi senza un euro in tasca.
Cosa dobbiamo fare? Continuare a mettere il nostro destino in mano ad individui del genere?
No, perché noi abbiamo la possibilità di scegliere e per cambiare questa società dobbiamo imparare a premiare l’umiltà.

Meglio leggere un libro o un e-book?

Sono una fervida lettrice e spesso mi sono sentita porre questa domanda: “preferisci il libro cartaceo o un e-book?”
Per molti questa è una domanda scontata, così come scontata è la risposta, in realtà, però, non è semplice rispondere e non lo è per un sacco di motivi.
Istintivamente, a tutti verrebbe spontaneo rispondere il libro “tradizionale” perché le sue pagine si possono toccare, perché è possibile sentirne il fruscio, perché è possibile perdersi nell’odore delle sue pagine, perché l’inchiostro nero è più visibile e rimane impresso nella mente.
L’e-book, invece, è qualcosa di sterile, come tutti i prodotti tecnologici riduce il contatto, la sensazione tattile, la magia che si perde tra le pagine di un vero libro.
Proviamo però a pensare alla duttilità dell’e-book, con un lettore elettronico è possibile leggere, in qualsiasi posto, anche un libro di centinaia di pagine, senza avere il peso di portarlo con noi. Da questo punto di vista è più pratico, più versatile, soprattutto per coloro i quali sono sempre in movimento.
Quindi? Qui ci sono solo tesi ed antitesi, ma la soluzione, quale potrebbe essere? La soluzione, come sempre, sta nel mezzo, chi ama leggere lo fa perché ama la lettura, perché riesce a trovare sempre il tempo per concedersi a qualche scritto, sia in treno, sia in autobus, sia la sera prima di dormire e lo fa perché quel momento è uno dei più belli della sua giornata, indipendentemente se quelle parole sono scritte su un dispositivo elettronico o sono stampate sulla carta.
C’è da aggiungere, però, che spesso, sfogliare un vero libro, diventa un vero e proprio bisogno, qualcosa di irrefrenabile, qualcosa in cui perdersi. Anche io ho un e-book reader e lo uso spesso, però, un paio di giorni fa, dopo aver sentito parlare una delle mie scrittrici preferite : Dacia Maraini, sono andata nella mia libreria ed ho preso un suo libro, per leggero, per rileggerlo, per andare a trovare quella parte di me che era rimasta tra quelle pagine, che forse rimarrà per sempre lì, per riscoprire e ricordarmi di me, di chi ero l’ultima volta che avevo aperto quel libro.

#lacalabriacherema

Navigando su Twitter è facile imbatterti in volti e persone nuove, mai viste o conosciute, le quali condividono con te un’idea, il luogo dove vivono, una particolare visione del futuro.
Questo è quanto è accaduto a me, imbattendomi in una strana idea, ovvero #lacalabriacherema . Il nome mi ha già incuriosito: chi rema? Colui che è disposto ad andare avanti, ad attraversare il mare, a raggiungere un traguardo. E la Calabria, la mia bella Calabria, in questo momento sta remando o sta attraversando le acque come un vaso di terracotta, per dirlo alla “Manzoniana”?
La nostra regione, la mia regione, in questo momento, ha bisogno di una forza, ha bisogno della forza dei giovani, di quella forza che può e deve provenire da un’associazione come “La Calabria che rema”. Chi sono questi rematori? Sono persone comuni, sono imprenditori che si sono messi in gioco, che vogliono cambiare il volto di una regione, che vogliono cambiare il volto della Calabria.
Molti di voi mi diranno che, in tutto ciò non c’è nulla di nuovo, che spesso, troppo spesso, sentiamo tanti paroloni, buttati al vento, che tutti vogliono cambiare questa regione, che poi abbandonano a sé stessa e questo è vero, allora, questa volta, cosa c’è di nuovo?
C’è che, io l’esperienza politica l’ho avuta, essendo parte attiva di un partito come militante prima e come segretario poi, c’è che la voglia di cambiare la Calabria l’ho vista e l’ho sentita nelle parole di tanti giovani che, come me, vogliono vivere questa terra, ma la domanda viene ripetuta, cosa c’è di nuovo in #lacalabriacherema ?
C’è che nelle linee programmatiche di questa iniziativa, ho ritrovato me stessa, la mia voglia di combattere, la mia voglia di cambiare la realtà che mi circonda, la mia voglia di veder rinascere un territorio che, per troppo tempo è rimasto nell’ombra. La Calabria ha molto da offrire, la Calabria siamo noi, siamo noi quella forza motrice che si deve occupare del proprio futuro, della propria esistenza, della propria sopravvivenza. La Calabria sono tutti quei giovani che vogliono e devono tornare qui, per vivere la propria esistenza in maniera dignitosa, vicini ai propri affetti, sentendo il profumo del proprio mare ed ammirando il proprio sole.
Tutto questo è utopia? Io dico di no, perché penso che sia arrivato il momento di iniziare a remare.

L’amore sotto le ceneri del ’68

Ho deciso di scrivere su alcuni libri, che ho letto di recente, soprattutto se questi libri sono stati scritti da autori, che oltre al fatto di essere stimati, sono anche miei amici, come Margherita Celestino, autrice del romanzo “L’amore sotto le ceneri del ’68- Storia di amore e di politica”.
Cos’ha di particolare questo libro?
La sua storia, quella stessa storia vissuta anche da me, così come da altre ragazze, quella storia formata da desiderio di realizzarsi e timore per ciò che ci succederà, quella storia dove l’amore e la passione riescono a fondersi, per trascinare una vita, la vita di una giovane donna, che deve scontrarsi con i sentimenti che si fanno strada in lei, sentimenti forti, spesso contrastanti, quegli stessi sentimenti che la porteranno ad essere una persona diversa.
In queste pagine si racconta il percorso di un’esistenza, in un susseguirsi di emozioni, che riusciranno ad emozionare il lettore ed ad incatenarlo al testo. un libro che riesce a rapirti, nel quale, spesso, ritrovi te stesso, parte della tua storia, del tuo percorso, delle tue idee.
Un libro che tratta di due grandi passioni, di due grandi idee, in grado di cambiare il mondo, in grado di cambiare una persona, in grado di riportarti indietro nel tempo, verso ricordi e sussulti al cuore, che non riuscirai a dimenticare mai.

Smettila e Sii felice

“Smettila e Sii felice” è il titolo del libro di Paolo Gambi, uscito nel 2014, un libro che riesce a leggerti dentro. Nel titolo del libro è racchiuso il senso ultimo di esso. Ho deciso di scrivere una recensione, non perchè sia semplicemente uno dei tanti libri che ho letto, ma perchè questo libro è un libro realmente esistenziale.
Cosa significa Smettila e sii felice? Significa riuscire a capire il fine ultimo della nostra esistenza, significa trovare un cammino, verso la scoperta della felicità, quella stessa felicità che dovrà coronare la nostra esistenza.
Ma chi ci accompagna in questo processo? E’ qui che entra in gioco la figura dell’autore-coach, Paolo Gambi, che riuscirà a farci raggiungere la serenità interiore, passo dopo passo, un autore che ci spiegherà con parole semplici, come affrontare la nostra vita, nel migliore dei modi possibili, grazie alla tecnica del coaching, aiutandoci, anche, con riferimenti biblici, che mai avremmo potuto immaginare fossero così attuali.
La parola di Dio che continua ad essere un faro sul nostro cammino, la parola di Dio che continua a guidarci, ieri come oggi, che deve essere compresa, ma soprattutto che deve essere fatta nostra.

Cosa rappresenta oggi la famiglia?

Famiglia, in un periodo in cui si sente troppo spesso pronunciare questo nome, in concomitanza con il Sinodo 2014, possiamo dire di comprendere fino il fondo il significato di questo vocabolo?
Cos’è, oggi una famiglia? Come sono cambiate le famiglie?
Se si pensa all’immagine di un nucleo familiare, a molti di noi viene in mente l’immagine della natività, con la famiglia di Nazareth riunita intorno al Bambin Gesù in fasce. E’ ancora così? Forse si; forse sono cambiate le abitudini, i ruoli, ma forse, l’immagine tradizionale della famiglia è sempre la stessa. Due persone che si amano, che decidono di creare qualcosa che sia in comune, che decidono di mettere al mondo un figlio, è questo il senso più profondo di un legame che li unirà per sempre.
Le famiglie sono in continuo cambiamento, i genitori spesso si lasciano e nella vita dei bambini appaiono volti nuovi, compagni o compagne che riescono ad amare le loro mamme e i loro papà e soprattutto, riescono ad amare questi figli.
Il volto delle famiglie tradizionali, forse è cambiato davvero, ma una cosa, forse non cambierà mai: una famiglia è sempre costruita intorno al sorriso di un bambino.